Siete invitati a partecipare al vernissage della personale di Emanuele Dascanio che si terrà il 15 dicembre 2012 nel'eccellente contesto culturale della Storica Libreria Bocca, Locale Storico d'Italia con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Cofondatore dell'Associazione Culturale delle Librerie Storiche e Antiquarie d'Italia. Medaglia d'Oro della Camera di Commercio di Milano. Locale storico della Regione Lombardia dal 2006. Bottega Storica del Comune di Milano dal 2005. Libreri
a eletta dal F.A.I. Fondo per l'Ambiente Italiano luogo del cuore nel 2007
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La Libreria Bocca viene aperta a Torino nel 1775 dai fratelli Giovanni Antonio Sebastiano e Secondo Bocca, nativi di Asti. Oggi è una delle più antiche aziende librarie rimaste in attività.
Cinque sono state le sedi della libreria in passato: Parigi, Firenze, Roma, Torino e Milano, l'unica sopravvissuta.
La cultura nazionale ha un grande debito nei confronti di questa casa editrice che annovera tra i suoi autori Gioberti, Pellico, Previati, Segantini, Nietzsche, Kierkegaard, Freud. Opere come "Le mie prigioni" del 1832 di Pellico hanno contribuito a sconvolgere antichi equilibri sociali e ad aprire, come nel caso de "L'interpretazione dei sogni di Freud", nuovi sentieri all'evolversi del pensiero umano.
Lle sorti dell'azienda, dopo essere passate dalle mani dei Bocca a quelle dei Dumolard, dei Calabi, quindi dei Mauri, sono nelle mani della famiglia Lodetti: Donatella, Giacomo e i figli, Gabriele, Giorgio e Monica che riprendono l'attività editoriale, indirizzandosi verso un pubblico di collezionisti e di bibliofili,dando vita alle collane "Introvabili" e "Girasoli" costituite da libri stampati a mano in tirature limitate a poche copie, su preziose carte fabbricate a mano, illustrati da grafiche originali di noti artisti.
Tra i titoli di maggior successo si annovera "Il Classico dei Tre Caratteri", illustrato da 90 differenti artisti. Un altro grande successo della rinnovata attività editoriale è Il Cézanne degli scrittori, dei poeti e dei filosofi, a cura di Giovanni Cianci, Elio Franzini e Antonello Negri.
Il rinnovato staff della libreria specializzata nella vendita di libri d'arte, cataloghi di mostre di tutto il mondo, rari e introvabili, come pure di monografie di artisti e cataloghi ragionati in tutte le lingue, resiste alla crisi.
Nel 1990 viene fondato da Giacomo Lodetti, Donatella Bertoletti e Laura Corna il giornale "Arte Incontro in Libreria", tirato in 10000 copie, diffuso gratuitamente in 29 Paesi che dal 2011 passa da cartaceo a online, sotto la direzione di D'Amico.
I tre promuovono una serie di iniziative culturali a scadenze fisse che spaziano dalla presentazione di libri all'esposizione di opere d'arte: dipinti, sculture, ceramiche e vetri di artisti viventi.
Creano una rete di collegamenti internazionali con altre librerie per la diffusione del libro d'arte e istituiscono il Club per i fedeli clienti collezionisti, i musei, le biblioteche universitarie, le gallerie e gli antiquari di ogni parte del mondo.
Dal 2002 Giorgio riprende la tradizione di promuovere un premio per gli artisti, iniziato nel 1999, con cadenza biennale. Arrivato alla quinta edizione nel 2012, ha portato a conoscenza del grande pubblico artsti sconosciuti, oggi noti e affermati, quali Gabriele Buratti, Gianluca Corona ed Eltjon Valle.
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COMUNICATO
La Libreria BOCCA in Galleria Vittorio Emanuele II°, 12 a Milano
inaugura
sabato 15 dicembre 2012 alle ore 18.30 la personale
dell’artista EMANUELE DASCANIO
“L’intollerabile verità delle cose”
a cura e con presentazione di GIORGIO LODETTI e di GIOVANNI SERAFINI
con la presenza dell’artista
fino al 07.01.2013 – tel. 02 – 86.46.23.21
EMANUELE DASCANIO ha una visione così attenta della realtà da riuscire a coglierne i più minuti dettagli, mettendo in risalto nelle sue nature morte, lavori di lentissima e paziente composizione, le caratteristiche peculiari dei soggetti prescelti, non con pedissequa imitazione di uno specifico modello, ma operando su di esso un processo ideale di sintesi per cercare di individuarne una rappresentazione archetipica, di significato universale, inserendo nel suo intuitivo modello un nitore cromatico e così nette radiosità di contrasti, ricorrendo alle abili malizie della sontuosa tradizione fiamminga, appannaggio di attempati e più esperti Maestri, fino ad ottenere, nelle opere più riuscite, risultati di compiuta magnificenza.
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Testo critico a cura di
Giovanni Serafini:
EMANUELE DASCANIO o l’intollerabile verità delle cose
"sveglia, il mondo è orrendo ma che importa
dentro di te subisce un’inversione
se a occhi aperti lo rendi così attraente"
J. Rodolfo Wilcock
Dipingere, oggi, ponendosi davanti ad una tela bianca con pennelli, colori, solventi, e una profonda impressione emotiva da esprimere, è considerato démodé. Superato. Incongruente. Come se l’uomo moderno, per il fatto di considerarsi “progredito”, dovesse nutrirsi ormai di solo silicio e transistori, mentre da millenni continua a cibarsi di carne arrostita e ortaggi, come i suoi “arretratissimi” preistorici antenati.
L’organizzata cricca che sfrutta, impudente, il business dell’arte, che con l’arte vera nulla ha da spartire, ridotto a mercato di velleità modaiole per vanitosi parvenus carenti di cultura e di buon gusto, pretenderebbe di imporre regole planetarie di un “politicamente corretto” in campo artistico, negando la continuità di una splendida tradizione che, nonostante intenzionali fraintendimenti e vergognosi disconoscimenti, perdura fortunatamente ad oltranza, grazie a coraggiosi e caparbi autori.
Emanuele Dascanio è uno di questi, coerente con i dettami della grande pittura, dimostrazione del lato geniale di uomini che da secoli si misurano in una tacita, ininterrotta gara di perizia e di invenzione, lasciando traccia preziosa del più entusiasmante patrimonio di creatività e di bellezza che l’umanità possa vantare.
Tuttavia non basta essere dotati, qualità innata, da affinare in anni di esercizio e di studio, che porterebbe, al massimo, ad essere considerati ottimi illustratori, pur se a volte davvero contigui al labile confine dell’arte: occorre anche disporre di quella scintilla di genio creativo e di un particolare e raro stato di grazia in grado di trasformare un’immagine tecnicamente ineccepibile – puro esercizio di bravura – in quel complesso miracolo rappresentativo che definiamo capolavoro.
Sapendo bene che, entrando nel campo del giudizio ed essendo appunto la demarcazione tra mera, anche se ottima, tecnica e autentica opera d’arte, sfuggevole quanto indefinibile, ci si debba confrontare con la soggettività dell’osservatore – a nostro avviso comunque rispettabile – basata su quella summa di esperienze, di sensibilità, di conoscenze e di educazione estetica che ciascuno necessariamente possiede in misura diversa e che possa fatalmente portare a differenti quanto legittime distinzioni nell’interpretazione di un’opera, fino a riconoscervi, o meno, quell’imponderabile quid, quell’insieme di eccelse qualità che la rivelino come autentico capolavoro.
Tra le predilezioni di Dascanio vi è il ritratto, di cui ha dato prove convincenti; tuttavia egli riesce ad esprimere al meglio la sua tensione creativa in quel genere di meraviglie – che solo in Italia ha funerea connotazione nella sua nominazione - definito “natura morta”. L’originale reinvenzione di una melagrana, dal geniale titolo Passion, memorabile nei contrasti tra pallori di morte e il sangue vivo del martirio, con la quale il giovanissimo e perfettamente sconosciuto Emanuele Dascanio si impose al Premio di Pittura Movimento alle Segrete di Bocca, fu in grado di far convergere su di sé l’unanime favorevole giudizio di una ben eterogenea giuria che riconobbe l’ingegnosa riuscita non solo di un’inconsueta riproduzione di un modello, ma anche la sensazione di splendida assolutezza che il dipinto partecipava, figurazione non di un frutto in particolare, ma sorta di sintesi platonica dell’idea di quel frutto, astratta e universale, sontuoso archetipo di ogni sua possibile rappresentazione: superba provocazione di intollerabile verità.
Come analogamente avvenuto nella realizzazione di Sanctum, Emanuele Dascanio è in grado talvolta di inserire nel soggetto, una semplice noce di cocco spaccata a metà, elementi che superano l’effetto, di per sé accattivante, di non comune perizia e l’entusiasmo per un verismo portato a diabolici livelli di plausibilità, riuscendo a farvi aleggiare un afflato sacrale, con l’impressione del silenzioso materializzarsi di una vindice presenza divina, per virare un attimo dopo a sinistro richiamo di memento mori con la sua verosimiglianza di calotta cranica sfondata, se non parvenza di tenero carapace sventrato o magari di sezionata cavità uterina da cui sia appena stata estratta la vitalità di un corpo pulsante.
La potenza evocativa delle opere di Dascanio é felicemente manifesta anche nello splendido dipinto La luna e le donne – lungamente ammirato alla sontuosa esposizione “Nature Redivive” organizzata da ArcaDiA nel Palazzo Guidobono di Tortona – che sprigiona uno sgargiante limone verticalmente sezionato, emergente da fiamminghe tetraggini con palpitante illusione tridimensionale, stillante calde tonalità succose in una sfolgorante gamma di gialli in cui si raccolgono streganti lucori lunari e che, nella sua sensuale configurazione di umori, non può non suscitare in parallelo anche la peccaminosa visione di tumide forme carnose di invereconde intimità femminili.
In Me Dascanio accenna sornione a una specie di autoritratto vegetale, immedesimandosi e forse ambiguamente celandosi nello spiraliforme, accartocciato verzume e nelle infinite increspature delle foglie di un cavolo, la cui vivida illuminazione superficiale radente ne fa risaltare gli arricciati profili biancastri con netta impressione di circonvoluzioni di corteccia cerebrale, di argentei rigagnoli di liquido amniotico, di contorti sentieri lungo i quali si rincorrano inconfessabili fantasie, il tutto immerso in una fluida vampa morente che va estinguendosi, divorata dalla fatalità del buio.
Lavori in grado di rappresentare quella verità delle cose che, come tutte le cose profonde, porta con sé il timore di una rivelazione proibita, una sorta di profanazione del mero appagamento delle apparenze per i superficiali occhi degli uomini, con quella genialità intuitiva dell’artista nel saper rendere meraviglioso e terribile quello che appariva insignificante e banale, mostrando il lato enigmaticamente attraente e sottilmente inquietante della bellezza delle cose, così effimera nella suo incessante mutare, così tragicamente provvisoria in quell’interminabile alternanza di vita e morte che tutto investe con cieca potenza, devastando e instancabilmente rigenerando il mistero che ci porta.
Giovanni Serafini